In inglese significa “tracciamento dei contatti” ed è la strategia caldeggiata anche dall’Organizzazione mondiale della sanità per contenere l’epidemia.
In cosa consiste? Test a tappeto, quarantena dei positivi al Covid-19, mappatura dei loro movimenti, identificazione e isolamento delle persone con cui sono venuti a contatto.
La Corea del Sud ha limitato la diffusione del virus usando, oltre ai dati sanitari,
le immagini delle telecamere di sicurezza, le transazioni delle carte di credito, la posizione rilevata da smartphone e automobili e una app che segnalava i luoghi frequentati dai soggetti a rischio. Questo sistema, che il ministero della Salute – fra i
tanti – vorrebbe applicare anche in Italia, solleva evidenti problemi di privacy.
Le informazioni acquisite attraverso la tecnologia devono infatti essere anonime e aggregate, ovvero impedire di risalire all’identità dei singoli: servono regole e garanzie per evitare che, finita l’emergenza, i dati personali continuino a essere utilizzati. Per stabilire come usare big data e tecnologie contro il virus, il decreto Cura Italia del 17 marzo prevede la nomina di un gruppo di esperti che fa capo al ministero dell’Innovazione.