E’ considerato un pezzo unico (pur essendo stato trovato in frammenti) per via della sua fattura: sarebbe il prodromo dei vetri a intaglio con scene figurate, attestati nel III secolo ad Alessandria d’Egitto, ma non nel II secolo, periodo a cui invece risale il piatto. Una lavorazione di questo tipo è attestata anche per i vetri del palazzo reale di Begram, in Afghanistan, ma la scarsa scientificità degli scavi fa dubitare che risalgano effettivamente al II secolo.
E’ il Piatto Blu custodito a Palazzo Oddo, un oggetto di inestimabile valore storico per la città di Albenga. Fu rinvenuto nella Necropoli Settentrionale della città di Albenga, l’antica Albingaunum, sita sulla riviera di ponente della Liguria.
Oggi la necropoli è bene protetto dal FAI ed è visitabile solo durante le speciali giornate FAI. Oggi è esposto nella mostra permanente “Magiche trasparenze”, dedicata ai vetri di epoca romana dell’antica Albingaunum.
La Mostra “Magiche Trasparenze” è dedicata ai vetri romani di Albenga, pone l’accento sullo straordinario, quasi alchemico e quindi “magico” procedimento di trasformazione grazie al quale da un materiale opaco e pesante, quale è la silice, si ottiene un prodotto puro e traslucido, quasi incorporeo, come è il vetro.
La mostra permanente si compone di un cospicuo numero di vetri antichi dal I al III secolo d.C. provenienti dagli scavi condotti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Liguria nell’area della necropoli dell’antica Albingaunum.
Tra le opere più significative si segnala appunto il Piatto blu, pezzo unico al mondo risalente al secondo secolo d.C, su cui sono stati intagliati due putti che danzano in onore di Bacco.
E proprio del dio del vino e del delirio mistico, oltre che dei personaggi licenziosi del suo corteo, hanno gli attributi e i caratteri questi due discoli. Il putto alato regge uno strumento musicale a sei canne, chiamato siringa, e un bastone ricurvo da pastore; l’altro invece stringe il tirso e reca sulle spalle uno strano fardello, un otre di pelle ferina che rimanda chiaramente al nettare degli dei e all’ebbrezza.
Il mastro vetraio dopo la colatura a stampo, ha molato e levigato il vetro su entrambe le facce e poi lo ha decorato con intagli alla ruota e al tornio, e infine ha completato l’opera a mano libera con incisioni della precisione di cui neanche un orafo sarebbe capace.
Un vero artista che se non è di Alessandria d’Egitto, senza dubbio ai maestri alessandrini ha rubato il mestiere.
L’effetto chiaroscurale del modellato è assolutamente originale, tanto che i putti sembrano avere la profondità di un altorilievo, la plasticità delle forme scultoree, la precisione delle figure cesellate o sbalzate nell’argento alle quali aggiungono la trasparenza e le movenze che solo il vetro sa conferire.