Le classifiche sono, da quando esistono, un misto di qualità e sciocchezze, di grandi canzoni e pezzi d’occasione. Quella che si trovava sui giornali di oggi, ma nel 1965, comprendeva, tra gli altri, la dimenticata “Piangi” di Richard Anthony in testa, al secondo posto “Un anno d’amore” di Mina, la bellissima “Goldfinger” di Shirley Bassey“ al terzo posto, l’incomprensibile (per il gusto attuale) “Il silenzio” di Nini Rosso al quarto posto, e poi a scendere l’eccellente “Se piangi se ridi” di Bobby Solo e la colonna sonora di “Per un pugno di dollari” di Morricone.
Ma in mezzo a tutto questo – al quinto posto – ecco il capolavoro assoluto: “Io che non vivo (senza te)” di Pino Donaggio, reduce dal Festival di Sanremo.
La canzone è perfetta, dolce e patetica, con un testo molto bello e un tappeto orchestrale sinfonico che la rende a tratti epica, ma soprattutto con un dei ritornelli meglio scritti della musica italiana. Il pezzo, tradotto in inglese, finirà l’anno dopo nel canzoniere di Dusty Springfield, straordinaria interprete inglese assai popolare all’epoca. E grazie a lei comincerà a girare il mondo. Nel 1970 è una presenza fissa nelle scaletta degli spettacoli dal vivo del re del rock and roll, Elvis Presley. E per Pino Donaggio si aprono le porte della leggenda.
Ferdinando Molteni