Sette canzoni nuove aggiunte a settantasette canzoni del passato che raccontano una carriera musicale lunga trent’anni. Questo è “77+7” il nuovo sontuoso album di Ligabue. In realtà gli album licenziati sono due: chi volesse ascoltare solo gli inediti li troverà, infatti, tutti racchiusi in un cd unico intitolato semplicemente “7”.
Ed è di questo secondo disco che intendiamo parlare. Ligabue, sia detto subito, appare in stato di grazia. I pezzi sono tutti buoni e nel mazzo spuntano (forse, ma sarà il tempo e il riascolto a dirlo) anche un paio di capolavori.
Certo, la formula è sempre la stessa: pezzi rock mid-tempo e ballate, testi diretti e parole della vita di tutti i giorni.
Eppure ogni pezzo ha il suo perché. Non ci sono riempitivi. Del resto si tratta – per i magniloquenti standard produttivi attuali – di un mini-album.
L’impressione è che il cantante di Correggio abbia pubblicato davvero le cose migliori scritte di recente.
Il disco si apre con il pezzo che ha fatto da apripista al progetto ed è stato già lungamente ascoltato in radio e sulle piattaforme: “La ragazza dei tuoi sogni”. Si tratta di una classica ballata acustica alla Liga con qualche sventagliata di chitarra elettrica e una buona melodia. Il racconto ha a che fare con l’amore e con le sue difficoltà. La canzone, pur bella, è a conti fatti la meno interessante del mazzo.
“Mi ci pulisco il cuore” è invece notevole. La miscela tra acustico ed elettrico è perfetta e Ligabue, ancora alle prese con l’amore, torna a descriverlo da par suo, con felici invenzioni letterarie e intuizioni poetiche. Il ritornello ne fa un potenziale anthem per le esibizioni dal vivo.
La terza traccia, “Si dice che”, naviga dalle parti del capolavoro. Ipnotica, elettrica, potente, con un testo originalissimo e riuscito, pieno di trovate. Dal vivo farà sfracelli. Ma quello che colpisce della canzone è anche la prova vocale di Ligabue, raramente così limpida e sicura. Il pezzo, uno dei più lunghi della raccolta, finisce con una divertente coda low-hifi.
Ma le perle della piccola raccolta non sono finite. “Un minuto fa” è una di quelle ballate che Ligabue scrive come pochi altri. Introspettiva, vacillante, indeterminata nel racconto ma capace di tramettere sensazioni positive. Una canzone quasi omeopatica con un ritornello che si appiccica alle orecchie e alcune soluzioni strumentali di rock vintage davvero deliziose.
Il pezzo più potentemente rock del disco, ma con qualche sfumatura funky, è “Essere umano”, pieno di echi del Ligabue d’antan. Una canzone costruita per i live, da ballare dalla prima all’ultima nota. Il gioco sulla parola “essere” – che diventa ora verbo e ora sostantivo – fa parte delle belle invenzioni che Ligabue inserisce nei suoi testi.
Un tuffo negli anni Settanta è rappresentato da “Oggi ho perso le chiavi di casa”.
Una cosa da cantautore di razza. Autobiografica e impietosa. L’interpretazione del Liga è convincente, come gli accade sempre quando canta le sue cose migliori. Una ballata scritta in modo impeccabile che si fa riascoltare con piacere. Deliziosa e piena di echi antichi la lunga (quasi) coda strumentale che ci riporta ai fasti di “Buonanotte all’Italia”.
La raccolta si chiude con “Volente e nolente” cantata con Elisa. Il duetto funziona alla grande. La canzone è bella. La voce ruvida e bassa del Liga dialoga con quella, di cristallina bellezza, di Elisa, e il capolavoro è di nuovo dietro l’angolo. Il testo – che prende le mosse, come capita spesso a Ligabue – da un modo di dire, è una delle cose più belle scritte dall’artista di Correggio da molti anni a questa parte.
Chi rimprovera a Ligabue la mancanza di fantasia dovrebbe tornare a scuola, sedersi sul primo banco e ascoltare questo lavoro. Dall’inizio alla fine.
Ferdinando Molteni