Crollano i consumi, Confcommercio lancia l’allarme

Confcommercio lancia un nuovo allarme per i consumi , scesi ad ottobre, secondo ‘indice congiunturale calcolato dall’associazione dell’8,1% rispetto allo stesso mese del 2019. Il rallentamento, ha interessato in misura più immediata e significativa la filiera del turismo, servizi ricreativi (-73,2%), alberghi (-60%), bar e ristoranti (-38%). Per il mese di novembre si stima una riduzione del Pil del 7,7% su ottobre e del 12,1% nel confronto annuo.

Secondo Confcommercio , le dinamiche registrate negli ultimi due mesi, a meno di un eccezionale, ma improbabile, recupero a dicembre, portano a stimare preliminarmente una decrescita congiunturale del Pil nel quarto trimestre superiore al 4%. Queste valutazioni non comporterebbero modifiche nella dinamica complessiva del Pil per il 2020 (tra il -9% e il -9,5%), grazie a un terzo trimestre decisamente più favorevole rispetto alle stime, ma implicherebbero un’entrata ben peggiore nel 2021, facendo svanire le più ottimistiche previsioni di rimbalzo statistico per l’anno prossimo.

Confcommercio in prima linea per il rilancio del paese

Confcommercio contribuirà a migliorare il funzionamento del sistema paese con alcune proposte che puntino su terziario e servizi, ricerca e sviluppo, innovazione e digitalizzazione, trasporti e logistica, nella sfida di tenere insieme sostenibilità ambientale e sostenibilità economica e sociale.

Del resto – sottolinea la confederazione – abbiamo straordinari giacimenti cui applicare questo tipo di approccio: la coesione territoriale, la risorsa cultura, la riorganizzazione delle nostre città ed il nuovo ruolo del commercio di prossimità, le aggregazioni di rete e di filiera del tessuto dell’impresa diffusa, lo sviluppo dei servizi professionali, la qualità del made in Italy e dell’italian way of life”.

Si apre qui l’agenda delle riforme necessarie. Dalla revisione delle scelte in materia di restringimento dell’agibilità dei contratti a termine e del lavoro occasionale alle scelte nuove da operare per la riduzione del cuneo fiscale e contributivo sul costo del lavoro. Fino alla soluzione della questione di lungo corso della riconfigurazione della spesa sociale a vantaggio di più robuste politiche attive”.

Dalla riduzione del “cuneo burocratico” – per via di una semplificazione che sia occasione non di de-regolazione, ma di nuova regolazione orientata all’innovazione ed alla crescita – all’effettività di una “spending review” finalizzata a sospingere buoni investimenti pubblici e privati: in conoscenza, ricerca e salute; in digitalizzazione ed infrastrutture funzionali anche a processi di rigenerazione urbana coerente con le direttrici della “nuova normalità”.

Dal riordino del sistema fiscale in un’ottica di progressiva riduzione della pressione complessiva e di accorta azione selettiva di contrasto e recupero dell’evasione e dell’elusione ad un green new deal che assuma compiutamente una dimensione europea e che punti sull’impulso delle incentivazioni piuttosto che sull’intervento delle imposte ambientali in una chiave di sostenibilità non solo ambientale, ma anche economica e sociale. Fino alle scelte in materia di “web tax”.

Dalle politiche e dalle misure per “riconnettere l’Italia” del dopo COVID-19 – cercando di sospingere lo sviluppo attraverso la leva dell’accessibilità territoriale ed investendo, tra l’altro, sul decollo del modello delle Zone economiche speciali (ZES) – alla promozione della destinazione Italia e delle sue straordinarie declinazioni di una nuova socialità sostenibile, fondata sulla resilienza dei loro valori di lungo corso (identità e qualità, innovazione e servizio).

Resta comunque ferma – conclude Confcommercio – l’esigenza di mettere in campo una risposta adeguata allo straordinario impatto dell’emergenza sul sistema italiano del turismo. Adeguata e coerente con il ruolo economico e sociale che il turismo potrà e dovrà svolgere nell’Italia che verrà”.

Confcommercio: le mani della criminalità si allungano sulle imprese

Carenza di liquidità e calo dei consumi hanno rappresentato il principale ostacolo all’attività di impresa durante l’emergenza sanitaria mettendo in difficoltà il 60% delle imprese del commercio e della ristorazione; quasi il 30%, invece, tra burocrazia e le necessarie procedure di sanificazione, igienizzazione e altri protocolli di sicurezza, ha visto incrementare i costi; ma c’è anche un 11% di imprese che indica nella criminalità un ulteriore, pericoloso ostacolo allo svolgimento della propria attività; in particolare, circa il 10% degli imprenditori, in questo periodo, risulta esposto all’usura o a tentativi di appropriazione ‘anomala’ dell’azienda, ma la percentuale cresce fino a quasi il 20% per quegli imprenditori che sono molto preoccupati per il verificarsi di questi fenomeni nel proprio quartiere o nella zona della propria attività; i due terzi delle imprese giudicano comunque efficaci le azioni di contrasto delle forze dell’ordine e della magistratura e ritengono fondamentale ricorrere alla denuncia, ma ancora oggi quasi 1 impresa su 3, di fronte a questi fenomeni criminali, non sa cosa fare.

Questi, in sintesi, i principali risultati che emergono da un’indagine sull’infiltrazione della criminalità organizzata nelle imprese del commercio e della ristorazione durante e dopo il lockdown realizzata da Confcommercio in collaborazione con Format research (documento integrale disponibile su www.confcommercio.it/ufficio-studi).

I principali risultati dell’indagine

Gli aspetti problematici dell’attuale frangente sono ben presenti agli imprenditori. Le questioni strettamente economiche sono le più importanti per l’equilibrio aziendale e quindi per la vitalità dell’attività produttiva: liquidità e calo di domanda.

Il 30% delle risposte punta, invece, al tema dei costi: la solita burocrazia e le pure necessarie procedure di sanificazione, distanziamento, igienizzazione e altri protocolli di sicurezza che comunque costituiscono un incremento dei costi fissi dell’imprenditore.

Completa il quadro degli ostacoli auto-percepiti il tema della criminalità. Che aggreghi l’11% delle risposte è, da una parte, garanzia di affidabilità dei risultati nel senso che le domande sono state ben comprese e che la paura è controllata sul piano macro-settoriale; dall’altra, è piuttosto grave vedere comparire la criminalità tra gli ostacoli all’attività d’impresa

Le domande in relazione all’usura e ai tentativi subdoli di appropriazione dell’azienda da parte di soggetti criminali sono state poste con riferimento all’eventuale conoscenza dei fenomeni sperimentati da altri, distinguendo i diversi canali attraverso cui la notizia è pervenuta.

Naturalmente è la conoscenza personale – “mi è stato raccontato, ne ho sentito parlare” – quella che conta. È un risultato notevole che questa forma di conoscenza sia più diffusa rispetto all’acquisizione della notizia attraverso i mezzi di comunicazione. Anzi, questi ultimi sembrano trattare l’argomento meno di quanto dovrebbero se la stima del 9,8% di soggetti che ne ha conoscenza diretta è verosimile. A nostro avviso lo è, visto che se ne ha riscontro nell’analoga frazione di risposte sulla criminalità come problema nella gestione attuale delle imprese.

Pertanto, il 9,8% può essere acquisito non come stima del tasso di vittimizzazione, ma come indice della potenziale gravità del fenomeno nel senso dell’esposizione all’usura delle micro e piccole imprese del terziario di mercato in questo frangente storico.

A fronte di una media del 9,8% sul totale campione, il 13,1% dei ristoratori e dei proprietari di bar dichiara di avere sentito personalmente notizie di pressioni usuraie su imprese del proprio settore e della propria zona. Anche quest’evidenza è coerente con le attese a priori: più fragile è l’impresa, più elevata è la pressione. E i settori del food away from home sono certamente quelli che più hanno sofferto e più stanno soffrendo perdite di fatturato e di reddito, diventando così più esposti alle pressioni della criminalità.

Una percentuale analoga (8,8%;) a quella registrata per l’usura si rileva rispetto alla notizia acquisita attraverso canali personali per quanto riguarda le imprese che hanno subito dei tentativi di essere acquisite per un prezzo fuori mercato, ossia molto inferiore o molto superiore a quello reale, sempre nella medesima zona dove operano con la propria attività. La notizia di accadimenti del genere è stata appresa in prevalenza, anche in questo caso, attraverso il passaparola tra imprenditori.

Non deve stupire la formulazione della domanda nei termini di “prezzi fuori mercato”. Prezzi troppo bassi o troppo elevati indicano un’anomalia nel libero gioco delle forze imprenditoriali; prezzi troppo elevati, per esempio, tradiscono sovente l’intento acquisitivo di attività reali finalizzato al riciclaggio, un tema, purtroppo, non nuovo nel panorama italiano.

 

Come nel caso dell’usura, gli imprenditori impegnati nella ristorazione o nella gestione di un bar mostrano un’accentuazione significativa nell’autodichiarazione di conoscenza di notizie di tentativi criminali attraverso canali personali: rispetto alla media del campione dell’8,8%, la conoscenza in questo settore raggiunge il 14,5%. La fragilità dell’impresa ne accresce l’esposizione ad acquisizioni da parte di soggetti criminali.

 

Sintetizzando le risposte sui due fenomeni, il risultato robusto che si ottiene è che una frazione prossima al 10% degli imprenditori appare esposta a pressioni della criminalità, almeno per quanto riguarda i due specifici temi dell’acquisizione anomala dell’attività e del prestito a usura.

Ma, al di là delle modalità con cui gli imprenditori ne sono venuti a conoscenza, circa il 60% degli imprenditori esprime preoccupazione per questi fenomeni, soprattutto in un momento di gravissima crisi economica come quello attuale. E di questi, quasi 1 su 5 è molto preoccupato per il verificarsi di questi atti criminali nel proprio quartiere o nella zona dove svolge la propria attività.

Il 67,4% delle imprese intervistate ritiene, comunque, “molto” o “abbastanza” efficace l’azione delle Forze dell’ordine e della Magistratura, per contrastare l’azione della criminalità contro le imprese e il 66% del campione ritiene “molto” o “abbastanza” efficaci le diverse forme di collaborazione in atto tra Autorità centrali e locali, Forze dell’Ordine e Magistratura da una parte e Associazioni di categoria degli imprenditori e altre forze della società civile dall’altra per contrastare l’azione della criminalità ai danni delle imprese.

Il 60% circa degli intervistati ritiene che l’imprenditore che si trova alle prese con i fenomeni criminali dell’usura e del tentativo della malavita di impadronirsi delle imprese deve denunciare subito alle Forze dell’Ordine o comunque alla Magistratura il reato del quale è rimasto vittima. Il 33% delle risposte indica un’assenza di strategie rispetto alle pressioni criminali (“non saprei cosa fare”) e solo un’esigua minoranza appare completamente sfiduciata (“non si dovrebbe fare niente poiché è inutile”).

Il 42,3% delle famiglie ha visto ridursi l’attività lavorativa

A causa della crisi sanitaria e del conseguente lockdown il 42,3% delle famiglie ha visto ridursi l’attività lavorativa e il reddito, il 25,8% ha dovuto sospendere del tutto l’attività e il 23,4% è finito in Cig. Sono alcuni dei dati più significativi contenuti nel rapporto annuale Confcommercio-Censis su fiducia, consumi e impatto del Covid-19.

Dallo studio emerge inoltre che quasi sei famiglie su dieci temono di perdere il posto di lavoro e che resta molto ampia la fascia di chi, dopo la riapertura del Paese, guarda al futuro con pessimismo: il 52,8% vede “nero” per la propria famiglia, percentuale che sale al 67,5% con riferimento alle prospettive del Paese.

Quanto ai consumi, infine, il 23% ha dovuto rinunciare definitivamente all’acquisto di beni durevoli (mobili, elettrodomestici, auto) già programmati e il 48% a qualunque forma di vacanza (week end, ponti, Pasqua, vacanze estive). A quest’ultimo proposito, oltre la metà delle famiglie non ha programmato nulla e circa il 30% rimarrà a casa non avendo disponibilità economica (percentuale che sale al 57% per i livelli socio economici bassi). Solo il 9,4% si permetterà il “lusso” di partire ma con una riduzione di budget e di durata.

Confcommercio-Swg, bilancio in rosso: perdita di ricavi per oltre il 70%

Indagine Confcommercio-SWG: un terzo delle imprese del commercio e dei servizi di mercato che hanno riaperto stima una perdita di ricavi oltre il 70%, mentre per il 28% rimane elevato il rischio di chiudere definitivamente.

Delle quasi 800mila imprese del commercio e dei servizi di mercato che con l’inizio della fase 2 avevano la possibilità di ripartire, dopo esattamente due settimane ha riaperto l’attività l’82%. In particolare, si tratta del 94% nell’abbigliamento e calzature, dell’86% in altre attività del commercio e dei servizi e solo del 73% dei bar e ristoranti, a conferma delle gravi difficoltà delle imprese attive nei consumi fuori casa. È il dato principale di un’indagine realizzata da Confcommercio in collaborazione con SWG.

Confcommercio: “Nel 2020 un crollo dei consumi pari a quasi 84 miliardi di euro”

In base alle nuove ipotesi di progressiva e graduale riapertura delle attività economiche, e mantenendo la data del primo ottobre come la più realistica per il ritorno a una fase di totale normalità, seppure con l’attivazione di protocolli di sicurezza che modificheranno i comportamenti di famiglie e imprese, si stima per il 2020 un crollo dei consumi pari a quasi 84 miliardi di euro (-8% rispetto al 2019),valutazione prudenziale che, non si esclude, potrebbe anche peggiorare. Queste le stime aggiornate dell’Ufficio Studi Confcommercio sugli effetti del lockdown a causa del coronavirus.

Oltre tre quarti della perdita dei consumi – prosegue la nota – sono concentrati in pochi settori di spesa: vestiario e calzature, automobili e moto, servizi ricreativi e culturali, alberghi, bar e ristoranti. Questi ultimi due, in particolare, sono i comparti che registrano le cadute più pesanti: -48,5% per i servizi di alloggio e -33,3% per bar e ristoranti. Per questi due importanti settori le stime sono molto prudenziali: le cadute potrebbero risultare a consuntivo decisamente più gravi se il ritorno alla “nuova” normalità sarà particolarmente lento.

E’ evidente che con un crollo della domanda così pesante la sopravvivenza stessa di questi comparti di attività economica è messa a serio rischio. Molto dipenderà dall’efficacia dei provvedimenti del Governo di sostegno alla produzione e al consumo, sia quelli già adottati sia quelli futuri. La strategia più logica e immediata di sostegno si riassume nella trasformazione delle perdite di reddito del settore privato, causate dalla chiusura forzata per il lockdown, in maggiore debito pubblico. Questo pilastro dei trasferimenti a fondo perduto a famiglie e imprese sembra in via di rafforzamento, e ciò offre qualche speranza per la ripresa.

Veneto e Emilia hanno adottato il protocollo Fipe per ripartire

Del protocollo adottato in Regione è fiera l’Emilia Romagna, è convinta che funzionerà. Lo dice chiaramente Gaetano Callà, presidente provinciale di Fipe Confcommercio Rimini, in un’intervista al Corriere locale. «Le regole che contiene sono buone. Bisogna sperare che il Governo non le inasprisca». Qui il menu diventa digitale, le mascherine saranno obbligatorie sia al momento dell’ingresso che dell’uscita, si leverà solo a tavola. E «naturalmente si potrà approfittare dello spazio esterno messo a disposizione dal Comune». Una scelta «utile» quindi questa del protocollo regionale, «perché altrimenti l’80% dei locali, a causa delle ridotte dimensioni, sarebbe stato costretto a chiudere».

In Veneto il governatore Luca Zaia ha già deciso di prendere altre misure: la distanza tra tavoli da 2 a 1 metro, per rendere più “limitato” il sacrificio di una percentuale di coperti. Un motivo c’è. Un sondaggio della Fipe – Federazione italiana pubblici esercizi proposto agli esercenti ha messo in luce una situazione allarmante: il 43,5% degli operatori ha detto che, con la previsione di distanze minime di 2 metri tra i tavoli, non ci sarà ripartenza lunedì; il 16,8% sostiene che è impossibile rispettare le norme volute dal Governo e che quindi chiuderà per sempre. Significa dire addio a 3.300 locali.

Una decisione, quella di Zaia, similmente adottata in Regioni come «la Liguria, la Calabria, l’Emilia Romagna e le Marche».

Decreto legge su riapertura, Confcommercio: “Incertezza disastrosa, non si fa così”

“L’incertezza è sempre negativa, in una crisi drammatica come quella che viviamo è disastrosa. Non si fa così. Si attende per lunedì la “riapertura” del Paese. Ma ancora non si sa come. Le bozze di provvedimento, che come è ormai consuetudine stanno già largamente circolando, prevedono quale condizione il rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida, idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di esercizio o in ambiti analoghi, adottati a livello nazionale”.

Ad affermarlo è Confcommercio. A loro volta, “le singole regioni – fa notare l’associazione – possono adottare propri protocolli nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali. La domanda (come si dice) nasce spontanea: di grazia, è possibile sapere oggi (venerdì) di quali protocolli nazionali e regionali si sta parlando, posto che lunedì le saracinesche dei negozi dovrebbero tornare ad alzarsi? Centinaia di migliaia di imprese attendono con urgenza una risposta”.

Confcommercio: “La stagione turistica sarà in perdita”

L’allarme arriva dalla Confcommercio: le imprese a rischio nel commercio e nel turismo sono il 10% del totale, pari a circa 270mila, mentre i posti di lavoro che potrebbero essere persi sono 420mila.

Enrico Postacchini, membro di Giunta di Confcommercio, chiede quindi interventi immediati a ristoro delle perdite subite. “Gli operatori hanno perso la pazienza – spiega – non hanno visto nulla oltre ai 600 euro”.

Per Confcommercio “la stagione turistica sarà tutta in perdita. Ci sarà il problema di riempire le stanze degli alberghi”. Potrà andare in vacanza, ad esclusione di chi ha le seconde case, solo il 20% degli italiani. Secondo l’associazione di categoria nel settore turistico, a causa dell’emergenza da Covid “le perdite potrebbero essere di 120 miliardi da qui a fine 2020”.

Istanza riduzione aliquota IVA pasti pronti, la Confcommercio scrive a Conte

Illustrissimo Presidente, scrivo Lei questa mia a nome degli imprenditori di Confcommercio, per portare alla Sua attenzione una oggettiva difficoltà per il settore dei PE. Il delivery e l’asporto saranno ancora protagonisti nel prossimo futuro, si spera per lungo tempo, a costituire non solo un ammortizzatore economico o sociale ai bisogni in caso di nuovo lock down, ma come una vera e propria realtà produttiva avanzata, un nuovo servizio alla collettività per ulteriori bisogni, prima sottovalutati.

Seppur tutti noi, si auspichi una prossima serenità seppur rigorosa, abbiamo il dovere di vedere il futuro con una prospettiva di impresa efficiente e competitiva. Il continuo aggiornamento ai dispositivi, il ritorno in autunno agli spazi ridotti recuperati in esterno durante il periodo estivo, dovrà trovare le imprese preparate sia progettualmente che finanziariamente, pertanto Le chiedo di voler cogliere questa riflessione come uno tra i tanti spunti che arrivano nel suoi uffici dalla quotidianità. La somministrazione se consumata in loco è da considerare come una prestazione di servizi ed è sottoposta all’aliquota agevolata del 10 %. L’asporto e/o la consegna a domicilio sono assimilati alla “cessione di beni ” e scontano l’aliquota della singola tipologia di bene alimentare. ESEMPIO – Bibita 22% – Frutto 4% La vendita del piatto pronto sconta l’aliquota del 22%. Voglia accogliere l’istanza di ridurre quest’ultima al 10% equiparandola a quelle applicata durante il servizio in loco. Cordialità.

Lorenza Giudice, presidente Confcommercio Albenga, vice presidente provinciale Confcommercio Savona

Covid e commercio, la Fase 2 tra sofferenza e umiliazione

In questo momento tra il Covid e il Commercio, che cominciano tutti e due con la C, siamo costretti a mediare tra l’esigenza di sopravvivere chimicamente e l’esigenza di sopravvivere economicamente. Inoltre è anche difficile sopravvivere alla propaganda, ogni giorno ne vediamo di ogni tipo e misura, quella della sofferenza,  dell’umiliazione,  della inadeguatezza, della rabbia, della paura di noi, in quanto essere umani, quella dei prodotti che dovrebbero tutelarci, per non parlare di coloro che si promuovono come salvatori della patria, dell’economia, dell’universo, non in ultimo i promotori elettorali, e qui mi fermo.

La verità assoluta è che le nostre imprese stanno soffrendo, tutti noi stiamo soffrendo, economicamente e psicologicamente, mentre alcuni chiudono, altri prosperano e la storia si ripete. Assistiamo ad ingiustizie e divari, le lobby più forti urlano infliggendo regole che non necessariamente corrispondono all’esigenza. Tu mi hai chiesto di fare un pezzo con il cuore slacciando la mente, quindi ti dico che l’ingiustizia porta a riflettere su quello che non va. Per il prossimo futuro si dovrà parlare di modelli diversi, nuovi, ove la fiducia sarà sicuramente protagonista incontrastata, perché se parliamo di fiducia,  trattiamo di qualcosa che si consolida nel tempo con azioni e credibilità, con la mente e con la pancia. Le persone tenderanno a frequentare gradualmente alcune attività, lo faranno solo se saranno garantiti dal loro sesto senso, in questo momento molto sottovalutato, in realtà sarà occasione per le imprese di mettere a sistema tutto quello che hanno investito nell’arco del tempo, negli gli anni, la credibilità sarà importante in questa fase. Vero è che ora tutti parliamo delle stesse cose, c’è una ripetizione infinita di alcuni concetti, però dovremmo andare indietro nel tempo per vedere chi ha avuto il coraggio, di parlare incondizionatamente di misure di credito insoddisfacenti, liquidità e condono. Le nostre aziende arrivano da un percorso di anni faticosi, poco virtuosi per fiscalità imposta a livello nazionale, tante hanno tali indebitamenti, che non permetteranno gli adeguamenti, quindi se questo governo avesse davvero a cuore la nostra economia e la salute dei suoi bilanci pubblici, farebbe bene ad azzerare tutto e credere nuovamente nelle imprese, dovrà azzerare la modalità di approccio alla vessazione,  tutti insieme si dovrà intraprendere un modello più virtuoso di educazione alle normative, non di soli adeguamenti.

Il sistema Italia va rivisto!

Vanno rieducate le priorità, riposizionati i valori aziendali, devono essere rivisti in modo indiscusso e unitariamente i contatti collettivi nazionali del lavoro e la loro tassazione; perché le imprese hanno necessità di collaboratori e i collaboratori di imprenditori. Lo Stato abbisogna di assi produttivi che paghino correttamente le tassazioni, ma l’iniquità porta alla miseria. A fronte di questo credo fortemente nella maggiore autonomia delle regioni e alla diversificazione per alcune decisioni, come  il farsi carico di maggiore coscienza verso chi produce nel territorio tocca ai sindaci. Noi imprenditori crediamo fortemente in quello che svolgiamo, ma senza uno Stato che punta realmente a questo valore, scevro dalla pura costituzione, non si può LAVORARE, siamo COSTRETTI e COMPRESSI ogni giorno in slalom burocratici che impediscono l’investimento nella crescita professionale, mettendo a repentaglio la competitività, una CATASTROFE! Abbiamo bisogno di modelli pratici, applicabili alle nostre aziende, compatibili con la quotidianità, ad oggi NON è così. Vengono impiegate più risorse nel tentativo di tutelarci dal terrore dell’errore, che ad adeguarci al mercato, su questo ORA bisogna riflettere. Rispetto profondamente chi ricopre ruoli tecnici, amministrativi, politici ai massimi sistemi, ma urge la connessione con la terra affinché le aziende possano ottemperare a quanto viene legiferato.

Lorenza Giudice, vice presidente provincia Confcommercio Savona

Assintel pronta a sbarcare in Liguria per potenziare il business delle aziende

Imperia. Assintel, l’associazione nazionale di riferimento delle imprese Ict è pronta a sbarcare anche in provincia di Imperia. L’organismo, nato nel 1987 e che aderisce a Confcommercio per l’Italia, è la più grande confederazione imprenditoriale del terziario italiano. E a Imperia vorrebbe “abbracciare” anche la neonata rete “RivieraLab” che al momento ha visto aderire sette società operanti in Riviera. “Fare rete, percorrere nuovi canali di visibilità, quindi sviluppare nuove progettualità di filiera ecco quanto si propone anche per Imperia e la provincia Assintel che conta 420 associati sparsi in tutta Italia e specie in Lombardia dove è nata”, spiega il segretario generale di Assintel Andrea Ardizzone che ha fatto visita alla sede provinciale della Confcommercio anche per incontrare alcuni produttori locali.

“Come abbiamo fatto in altre regioni italiane come appunto Lombadia, Sicilia, Umbria e Campania, siamo pronti a sbarcare anche in Liguria per sostenere il business e rispondere alle domande concrete delle aziende socie: questo è ciò che facciamo quotidianamente nel resto del Paese – precisa Andrea Ardizzone – La provincia di Imperia è un’area per noi interessante ed vorremmo far entrare nella nostra famiglia anche le imprese imperiesi e condividere con loro obiettivi, competenze, esperienze per creare anche valide opportunit di confronto, alleanze e soprattutto nuovo business”. Assintel, tra l’altro, ha ormai una forte e consolidata capacità di relazionarsi con le istituzioni locali. “Abbiamo rapporti costanti con Regioni, Province, Comuni e Camere di Commercio tutto questo – conferma Ardizzone – per costruire bandi a supporto dell’innovazione e per elaborare progetti per rilanciare le aziende operanti sul territorio. Anche su Imperia e nel resto della regione Assintel vuole diventare il punto di riferimento per le aziende e le start up innovative che possono fare network, costruire progetti e fare cultura per il mercato. Anche perché è bene ricordarlo – dice il segretario generale di Assintel – il nostro obiettivo è fare sistema e dare un valore aggiunto alle aziende che vogliono posizionarsi sul mercato”.