Addio ad Alberto Radius

Non so se Alberto Radius sia stato il più grande chitarrista rock italiano. Ma è quello che mi è sempre piaciuto di più. Ed è quello che – alla prima nota – lo si riconosceva.
La sua carriera la stanno ricostruendo in tanti in queste ore. Ma per definire l’artista bastano – si fa per dire – pochi episodi.
La collaborazione con Lucio Battisti e la nascita della Formula 3, il primo (e unico) power trio italiano e i suoi rari dischi da solo.
Basterebbe questo a farne una leggenda.
Ma Radius era qualcosa di più. Era un chitarrista inarrivabile, geniale ma molto spesso istintivo. Come deve essere un vero e grande chitarrista. Ed era anche un cantante notevole, capace di raccontare i tardi anni Settanta come pochi.

«Io non ho un partito / non mi basta il sindacato / un lavoro non me l’hanno mai trovato. / La riconversione / non mi sembra una ragione / per confondere / lo schiavo col padrone».

Forse, per riconsiderare il suo talento, e degnamente ricordarlo, potremmo ripartire da “Nel ghetto” del 1977. Una specie di inno o di manifesto. Sicuramente una delle cose più belle che ci ha lasciato.

Ferdinando Molteni