Mi rendo conto di non essere del tutto obiettivo, quando parlo di Emanuele Dabbono. Ho ascoltato migliaia di canzoni nella mia vita. E spero di continuare a farlo. Cerco di non dare giudizi definitivi. Soprattutto affrettati. L’album di Emanuele – “Buona strada” – l’ho ascoltato il giorno della sua uscita. E poi molte altre volte. E ho scritto, quando è uscito il video, qualche riga sulla bellissima e struggente canzone “Cerezo”.

“Buona strada” è una raccolta di pezzi che chiunque vorrebbe aver scritto e cantato. C’è dentro il talento, l’attitudine pop ma anche rock (che Dabbono non ha mai perduto), la ricerca della poesia nei testi, ma c’è soprattutto la gioia di fare musica, di condividerla e la speranza che quella musica arrivi alle persone.
Emanuele non ha bisogno del successo. Perché ce lo ha già. Non è quello delle star della televisione, sempre in prima serata, ma è quello di un autore di canzoni tra i più ricercati e apprezzati in Italia.
Tiziano Ferro, per dire, gli deve non poco. E non a caso ha prodotto l’album in oggetto. Un album che, volutamente, non ho raccontato. Mi sembrava di tradire la delicatezza di “Cerezo” di cui avevo già scritto, la canzone dove c’è dentro tutto Dabbono, la sua giovinezza, i suoi entusiasmi, le sue passioni, ma anche il dolore e la fragilità.
Ho grande rispetto per gli artisti onesti. Quelli veri, che non ti fregano e che provano a raccontare le cose come stanno. Soprattutto della loro vita.
Il candore di Emanuele Dabbono mi ricorda quello di Roberto Vecchioni o di Georges Brassens o, ancora, di Piero Ciampi. La verità è di per sé poesia. Anche se i temi sono diversi. La mistificazione è una sconfitta e il pubblico, prima o poi, se ne accorge.

In ogni caso, Dabbono ha estratto dal suo album un secondo singolo. Si chiama “Fame”. Ed è una canzone che parla dell’istinto di divorare quello che desideriamo: le «gambe nude di giugno» della propria donna, ma anche la fame di musica: «di negozi di dischi / dei primi di Springsteen». E poi ancora ricordi di viaggio («dal Grand Canyon a Rejkiavik»), citazioni di film, immagini erotiche, fotografie, il pianoforte di Bill Evans, Jack London, dipinti e biciclette.
Tutto quello di cui un uomo può aver fame. E di cui un uomo può vivere.
Il video della canzone è semplice. Sembra uscito a una MTV dei medi anni Ottanta. L’artista si confonde con la band. Fatta da amici. Belli e felici di far casino insieme a lui. Li ho riconosciuti quasi tutti. E so che sono veri amici di Dabbono, oltre che grandi musicisti.
Il video lo ha girato sotto casa, in un locale dove mi capita di passare ogni tanto.
Dimenticavo: la canzone è bellissima, comunica gioia e meraviglia.
Ferdinando Molteni
La canzone da sentire: https://www.youtube.com/watch?v=F6A11HAzC0E