Cinquant’anni fa “Radici” di Guccini, capolavoro senza tempo

Mezzo secolo può non essere molto in assoluto, ma per un disco di musica popolare è tantissimo. E resistere per cinque decenni alle mode – del pubblico e della critica – ai revival, al punk, alla dance, al pop elettronico fino ad arrivare al rap e alla trap, è davvero un’impresa straordinaria.

Non sono sicuro che Francesco Guccini, all’epoca trentaduenne, avrebbe scommesso su tanta longevità. Del suo disco, e più in generale del suoo lavoro di autore e cantante.

Invece è successo.

“Radici” forse il suo album più significativo insieme a “Via Paolo Fabbri 43” – è ancora qui. Nei pochi negozi di dischi che sopravvivono ma anche, e soprattutto, sulle piattaforme digitali.

Dentro ci sono una manciata di canzoni: “Radici”, “La locomotiva”, “Piccola città”, “Incontro”, “Canzone dei dodici mesi”, “Canzone della bambina portoghese”, “Il vecchio e il bambino”.

Sette pezzi. Sette capolavori. L’artista in stato di grazia.

Certo, ascoltato oggi il disco un po’ di polvere del tempo la mostra. Ma solo sui suoni, sempre pervicacemente trascurati da Guccini, nonostante la presenza di musicisti e amici come Vince Tempera, Maurizio Vandelli, Ares Tavolazzi.

Tuttavia, nonostante suoni ormai tramontati e approssimativi, la bellezza cristallina delle composizioni resta intatta.

Cinquant’anni fa Guccini scriveva un monumento. E noi siamo ancora qui ad ascoltarlo.

Ferdinando Molteni 

La canzone da sentire: https://www.youtube.com/watch?v=BjXjgyYU9eU